Siamo giunti alla terza etichetta, il viaggio all’interno dell’emisfero di Miroslav Lekes – alias Réva – è ancora lungo, tuttavia in questo genere di cose amo la calma e l’approfondimento. La Morra (Cn) – sede della Cantina – è uno degli undici comuni dov’è possibile allevare nebbiolo per produrre grandi Barolo – tuttavia all’interno di questo areale vitivinicolo piemontese altre varietà son degne di nota. Una tra queste è indubbiamente la barbera, vitigno del popolo, delle canzoni di Gaber e Jannacci e soprattutto delle mie spensierate – poi mica tanto – merende. Stesso identico discorso vale per Monforte d’Alba – in Località San Sebastiano – e Novello, tra l’MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive) Ravera. In queste stupende colline – con altimetrie che arrivano sino a 400 metri d’altitudine – vengono allevate le uve atte a produrre l’etichetta di Barbera d’Alba Superiore che mi appresto a descrivere. I terreni d’origine Tortoniana sono ricchi di marne di Sant’Agata fossili laminate in prevalenza, è un suolo alcalino con buona capacità di ritenzione idrica, calcareo e argilloso. L’annata 2019 ha donato uve sane e con livelli d’acidità ragguardevoli, si distingue per gli aromi: variegati, spesso esuberanti, frutto di notevoli escursioni termiche nella fase più importante del ciclo di maturazione del frutto. Fermentazione spontanea a contatto con le bucce in vasche d’acciaio per 30 giorni, un anno in legno con successivo imbottigliamento nel mese di novembre. Calice rubino, unghia lievemente porpora, grande luminosità e altrettanta consistenza. Il naso è da subito esplosivo e al contempo suadente, sentori “virili” e piuttosto marcati, frutto della lunga macerazione: chiodo di garofano, bacca di ginepro, violetta e pepe nero; si fanno largo marasca, more e susina rossa matura, ravvivate da una trama balsamica di eucalipto e un lontano ricordo di liquirizia e vaniglia Bourbon, quest’ultima non copre minimamente perché il legno è ben digerito. Chiude il quadro olfattivo – ad oltre un’ora dalla mescita – una trama terrosa di humus e grafite. Palato succoso, la freschezza è in linea con una sapidità preponderante, figlia del terreno che marca inesorabilmente il vino, coerente nei ritorni speziati e aciduli; spalle larghe ma in bocca è capace di danzare e “dissetare”. Il tannino è ancora fitto e al contempo dolce, sorso lunghissimo, è sicuramente un vino da carni rosse stufate, ma un brasato di manzo con funghi porcini saprà soddisfare la mia voglia d’autunno.
Foto di Danila Atzeni
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LI CALZI [29/08/21] - 8.9/10
8.9/10