Con una laurea in medicina conseguita all’Università di Digione e studi in filosofia a La Sorbonne, cosa puoi farci? Tante cose. Ma se ti chiami David Lefort, hai l’anima del vigneron e talento da vendere non puoi che finire a lavorare la vigna nella natia Côte Chalonnaise e fare vini sublimi. E non solo quelli di punta. E infatti dalle viti che hanno circa 40 anni di età situate in una piccola parcella sita a Mercurey (dove possiede vigne nei due prestigiosi Premier Cru Champs Martin e Clos l’Évêque), allevate seguendo i dettami dell’agricoltura biologica e alcune pratiche biodinamiche, David Lefort ricava le uve di pinot noir che utilizza per realizzare il suo vino di ingresso: un Bourgogne AOC. Fermentazione spontanea in vasche di acciaio, e affinamento del vino per 18 mesi in botti di rovere usate. Rubino luminoso alla vista. Naso che apre con suggestioni croccanti e succose di marasca, cassis e arancia rossa prima di proporre note speziate di pepe nero e chiodi di garofano e una lievissima nota di caffè tostato. Dotato di una freschezza vibrante che si accompagna ad una piacevole sapidità ematica, quasi rugginosa, il Bourgogne 2017 di David Lefort, ripropone all’assaggio la semplicità e la golosità del fruttato palesato al naso pettinandola con una lieve e piacevole frizione tannica. Succoso e dinamico rappresenta per chi si voglia accostare alla Borgogna del vino un primo approccio sicuramente semplice, ma anche estremamente godurioso.

4, Rue Neuve
71150 – Rully, Francia
Barbato [30/04/20]
Pinot nero di ingresso al mondo dei pinot neri. Gioca la sua partita su frutti rossi lievemente speziati con uno spunto di carne cruda. Acidità composta e non invadente, tannino in via di integrazione. Piacevole e di agile beva, persistenza non particolarmente lunga. Un vino senza pensieri.
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NOTARACHILLE [25/09/20] - 8.9/10
8.9/10
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BARBATO [30/04/20] - 8.2/10
8.2/10
mia curiosità per leggere al meglio la scheda, questo 89 è circostanziato pensando solo ai village generici rossi prodotti nella zona di Mercurey e nella annata 2017 oppure ha come visione la Borgogna rossa con la B ?
ho assaggiato un paio di referenze maggiori di questo produttore, non il Bourgogne generico dove difficilmente ho mai trovato cose over 82/83, mi sono fatto una idea, volevo quindi capire.
La 2017 è stata un’annata strana e difficile in molti luoghi ma non in Borgogna, ha premiato in concentrazione i bianchi, e l’ha sottratta ai rossi, rendendoli decisamente più territoriali e meno opulenti (sempre ammesso che si possa mai definire opulento un pinot noir borgognone), buoni ed espressivi fin da subito seppur capaci di reggere l’invecchiamento ed evolvere negli anni. Non ho trovato questa “aderenza” allo stile in qualche modo imposto (o suggerito) dall’annata in diversi (non li ho ancora assaggiati tutti e difficilmente riuscirò a farlo) Bourgogne generici e qualche Village. Questo ritengo dipenda dall’esigenza dei produttori dei vini personalmente fin qui assaggiati di voler inseguire quell’omologazione stilistica tanto cara al mercato e abbastanza inusuale in Borgogna. Diversamente, in questo vino invece l’ho riscontrata e l’89, se vogliamo, premia il lavoro del vigneron che ha lasciato che l’annata venisse espressa pienamente. Certo, parliamo pur sempre di Mercurey non esattamente il cuore della parte più nobile e vocata della Borgogna rossa con la B…
Il punteggio è quindi assegnato in funzione di quanto scritto sopra e in relazione alla tipologia (AOC Bourgogne), che non va messa in relazione con premiers crus e grands crus ancor meno a partire dal 2017 che ha visto la nascita della nuova AOC Bourgogne Côte d’Or riducendo la qualità generale dei vini con la semplice Appellation Regional.
Quindi è un voto contestualizzato ai Village 2017, in sintesi,ok ci può stare se lo collocò solo lì, mio consiglio quando si da un voto per contesto scriviamolo così la scheda epoy fruibile.