Ho deciso questa volta di condurre il mio assaggio con una metodologia ben definita: due momenti, separati da 24 ore. Protocollo: primo sorso all’apertura a temperatura frigo, secondo dopo trenta minuti e l’ultimo dopo un’ora. Ripeti il giorno successivo.
Venerdì 8 maggio, 8e50 di sera. Prendo la bottiglia dal frigo, stappo e vado dritto al bicchiere. Porgo il naso: acquolina da acidità di lambic frenata da un Cider da Upstate New York con la tipica mela cotogna cotta – spero svanisca presto. La bocca è scomposta, la lingua viene punzecchiata da tanti aghi, causa leggera carbonica. Il vino appare come un cavallo imbizzarrito appena uscito dalla stalla: scalcia e corre zigzagando (8.6). Mezz’ora dopo assaggio di nuovo. Il lambic è ancora lì, fortunatamente, e altrettanto fortunatamente la mela cotogna ha lasciato il posto ad una frutta meno ruvida ed allappante. La muscolatura resta dominante ma in bocca si inizia a sentire un piacevole fiore bianco che rilassa (8.8). Dopo sessanta minuti, il sorso diventa grasso ma non stanca la lingua, anzi viene voglia di bere. Una nota balsamica incornicia la frutta matura ed il biancospino. La nebbia si dirada e le linee si definiscono: l’acidità e la glicerina viaggiano parallele verso il piacere (8.9).
Sabato 9 maggio, 8:53 pm. Primo sorso a temperatura frigo: il naso è rigido, fisso su una caramella Rossana, confermata dall’attacco in bocca. Segue miele amarognolo e la densità prevale sull’agilità (8.7). Come previsto dal protocollo, bevo ancora dopo trenta minuti: esce fuori il caramello a soddisfare la sete ma l’acidità diviene più sporca con una nota sapida che graffia la gola (8.8). A temperatura ambiente e dopo 24 ore dalla sua apertura il vino si è adagiato su una confettura di albicocca con retrogusto di fico secco, forse un po’ troppo secco. La bevuta è resa difficile dal graffio in gola che si è accentuato ulteriormente, rendendo il finale faticoso (8.6).
Il Filagnotti 2015 è stato un po’ difficile da spiegare, imprevedibile nella sua evoluzione. Ha raggiunto l’apice della piacevolezza il primo giorno dopo un’ora con temperatura da rosso. Ma forse lo sbaglio è stato proprio di aver voluto raccontare metodicamente un vino che di metodico aveva (ed ha) ben poco. Creato da un uomo che detestava il confine giuridico di un disciplinare – divenuto nemico da combattere – e che vedeva il vino come il frutto di due creatività che si innamorano:
Il prodotto agricolo è un fiore che sboccia dall‘incontro d’amore tra la creatività della natura e quella dell’uomo. Stefano Bellotti (Cascina degli Ulivi).

Strada della Mazzola 14 – 15067 Novi Ligure
+39 0143 744598
-
NERA [12/05/20] - 8.9/10
8.9/10
Descritto come l’hai descritto, non capisco proprio i voti… Alla fine sembra più un voto alla persona che al vino. Bocca scomposta, lambic, … 8,6?
Ciao Marco, perdonami ma non sono sicuro di aver capito il tuo commento. Ti sembra un voto alto 8.6 per i descrittori/parole usate?
Si: la descrizione mi farebbe propendere per un voto molto più basso. Sentori lambic in un vino implicano un vino sostanzialmente difettato, Così pure come la carbonica. Una bocca scomposta non è certo segno di pregio… non lo so: ma visto così direci decisamente sotto l’8…
Detto ciò, la recensione è davvero fatta bene, e del vino si capisce molto. I gusti poi sono diversi ed è sicuramente un vino che non farebbe per me. Ma credo che l’obiettivo di un critico/recensore sia proprio quello di trasmettere quello che un vino è.
Marco, grazie mille per il feedback, ho sempre creduto nel commento come parte integrante del post stesso. Permettimi soltanto 3 chiarimenti:
1) Il “lambic”, soprattutto al naso, per me non è assolutamente un difetto. Naturalmente è una nota molto particolare che non sta bene su tutto, un po’ come la tanto bistrattata “vaniglia”;
2) Ho valutato le stonature avvertite all’apertura non dei difetti strutturali irreversibili (non equilibrio, carbonica, etc…), quindi l’8.6 è stato il classico voto di incoraggiamento;
3) Detto questo la mia scala di voti è molto corta, tra un 94 (difficilmente vado oltre) e un 86 c’è una differenza qualitativa molto importante, al limite dell’abissale.