Non ho mai veramente capito cos’è la complessità nei vini. O, meglio, ne posso dare solo una definizione quantitativa: ricchezza degli stimoli, olfattivi, gustativi ma anche tattili. Però il problema di una definizione quantitativa della complessità è che fra la miriade di richiami sensoriali potrebbe anche esserci qualcosa che non mi piace, qualcosa che frena la piacevolezza totale.
Non è il caso di questo nebbiolo proveniente dalle piante giovani in Rabajà che pur non avendo la complessità dei grandi è in grado, oggi, di appagare ogni mio desiderio enologico. Egli risuona sul registro medio con profumi seducenti di viola fresca, legno di rosa, corniolo, rovere, tabacco. Al palato è un fruscio di sete, niente asperità, solo un leggero grip per ricordarci che stiamo bevendo nebbiolo; l’acidità perfettamente integrata gli dona un tono di arancia rossa che lo trasfigura. Succoso e avvolgente e, bevuto un po’ fresco, anche dissetante: hai detto niente. Praticamente un manuale del nebbiolo da Barbaresco. Vino del privilegio, avrebbe detto sua santità. 94/100

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Zanzucchi [05/02/20] - 9.4/10
9.4/10